ADS: necessità della difesa tecnica

ADS: necessità della difesa tecnica

ADS e difesa tecnica

ADS e difesa tecnica

La tesi della necessità della difesa tecnica ai fini della proposizione del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno trova conferma in questa sentenza del Tribunale di venezia a firma del dott. Marinai, Giudice della Sezione Distaccata di Dolo.


Il Giudice sostiene che, in difetto normativa in negazione, l’art. 82 c. 3 c.p.c., laddove prevede che davanti “al tribunale e alla corte d’appello le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente”, ha portata generale e deve trovare applicazione anche nella procedura di nomina dell’amministratore di sostegno. Ne consegue che per il deposito del ricorso per la nomina di un ADS o per istanze tese a ottenere provvedimenti integrativi o modificativi di quello di nomina, è necessario munirsi di difesa tecnica ovvero si deve essere  assistiti da un avvocato.

Tribunale di Venezia

Sezione distaccata di Dolo

Il Giudice tutelare, sciogliendo la riserva che precede, esaminati gli atti, osserva:

l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, nonché le prime esperienze applicative della l. n. 6/2004, istitutiva della figura dell’amministratore di sostegno, rendono non più procrastinabile una presa di posizione di questo giudice sulla questione della necessità della difesa tecnica ai fini della proposizione del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno.

La tesi della necessità della difesa tecnica, avanzata dal Tribunale di Livorno – sez. dist. di Piombino (decr. 28.4.2004), dal Tribunale di Padova (sez. I, decr. 21.5.2004 e successive conformi), dal Tribunale di Milano (sez. IX, 2.3.2005, giudice Marini) e dalla Corte d’Appello di Milano (decr. 11.1.2005, unica pronuncia di un giudice d’appello sinora nota che abbia affrontato ex professo il problema) è pienamente condivisa da questo Tribunale.

È, infatti, corretto sostenere che, in assenza di disposizione contraria, l’art. 82 c. 3 c.p.c., laddove prevede che davanti “al tribunale e alla corte d’appello le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente”, ha portata generale e deve trovare applicazione anche nella procedura di nomina dell’amministratore di sostegno.

La difesa tecnica è obbligatoria al fine della piena ed effettiva esplicazione del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost. (cfr. Cass., sez. I, 26-08-2004, n. 17008), al fine di ottenere un equo processo ai sensi dell’art. 111 Cost., nonché al fine di evitare che la nomina dell’amministratore di sostegno possa comportare una violazione dei diritti fondamentali della persona ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del 1950.

Come messo in rilevo da App. Milano 2.3.2005, infatti, il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno comporta “effetti che incidono sulla possibilità di un soggetto di operare nel mondo giuridico e che coinvolgono situazioni soggettive a contenuto patrimoniale […] che fanno parte di quel nucleo ristretto di «diritti inviolabili dell’uomo» cui fa riferimento l’art. 2 Cost.”, e la costante interpretazione che la Corte Europea dà dell’art. 8 C.E.D.U. “impone che il provvedimento giurisdizionale volto ad incidere sulla capacità di un soggetto di operare nel mondo giuridico e, quindi, ad influire sull’identità della persona, debba essere il risultato di un procedimento in cui operi il principio del contraddittorio […] così da evitare che la decisione [non riesca ad] assicurare al destinatario degli effetti del provvedimento la possibilità di esporre le proprie ragioni e di espletare un controllo pieno sulla legalità degli atti del procedimento medesimo attraverso l’esercizio del diritto di difesa, che non può che essere attuato, vista la natura dei diritti coinvolti, attraverso lo strumento della difesa tecnica”.

La Cassazione, poi, è pacifica nel ritenere necessaria la difesa tecnica anche per procedimenti diversi dai procedimenti contenziosi ordinari.

In particolare, in un caso di inabilitazione, la Suprema Corte ha affermato che tale procedimento “ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo status della persona, la cui tutela non può prescindere dal rispetto delle norme in tema di patrocinio delle parti nel giudizio, e segnatamente di quella che impone il ministero di un procuratore legalmente esercente.

Le peculiarità di detto procedimento – determinate dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso e ad impugnare la sentenza, dagli ampi poteri inquisitori del giudice, dalla particolare pubblicità della sentenza, dalla sua stessa revocabilità –, non escludono che esso si configuri come un procedimento contenzioso speciale e resti disciplinato, con le specificazioni ed integrazioni espressamente previste, dalle forme del giudizio contenzioso.

Una chiara indicazione circa la natura del processo in esame è peraltro desumibile dalla pronuncia della corte Costituzionale n. 87 del 1968, che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 713 c.p.c. nella parte in cui consentiva al presidente del tribunale di rigettare, senza istituire il contraddittorio con la parte istante, la domanda di interdizione o di inabilitazione ove il pubblico ministero ne facesse richiesta, ha inteso garantire che già nella fase preliminare ogni soggetto potenzialmente titolare di posizioni contrastanti potesse prospettare le proprie ragioni” (Cass., sez. I, 22-06-1994, n. 5967).

Ad analoghe conclusioni la S.C. è pervenuta allorché ha statuito che l’opposizione al provvedimento che dichiara lo stato di adottabilità del minore sottoscritta dall’opponente, senza recare la sottoscrizione del procuratore legalmente esercente, è radicalmente nulla (Cass., 23-01-1985, n. 276) e che, più in generale, qualora il procedimento camerale tipico, disciplinato dagli art. 737 seg. c.p.c., sia previsto per la tutela di situazioni sostanziali di diritti o di status, esso deve essere completato con le forme adeguate all’oggetto, tra le quali rientra il patrocinio di un procuratore legalmente esercente (Cass., sez. I, 30-07-1996, n. 6900, Cass., sez. I, 29-05-1990, n. 5025).

Priva di pregio è, d’altra parte, l’eccezione di chi sostiene che il procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno non incida sullo status della persona.

Militano in contrario sia argomenti testuali, sia argomenti sistematici.

Testualmente, l’art. 1 l. 6/2004 prevede che la finalità della legge sia quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, il che presuppone che il beneficiario dell’ads subisca una limitazione – sia pur minima – della capacità d’agire.

L’art. 409 c.c., dispone che “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”, il che, all’evidenza, implica che, quantomeno per gli atti che richiedono la rappresentanza esclusiva, il beneficiario perda la capacità d’agire.

In via sistematica, poi, l’istituto dell’amministratore di sostegno appare certamente omogeneo all’interdizione e all’inabilitazione, i quali, pacificamente, implicano la perdita totale o parziale della capacità d’agire.

Sotto il profilo sostanziale, oltre ai dati testuali indicati, da cui – come detto – si evince che l’amministrazione di sostegno, al pari di interdizione e inabilitazione, è istituto idoneo ad incidere certamente sulla capacità di agire, va ricordato che l’art. 411 c.c. prevede l’applicabilità all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, delle disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 (scelta del tutore) e da 374 a 388 c.c. (gestione della tutela, responsabilità del tutore, rendimento del conto).

Sotto il profilo processuale, l’omogeneità degli istituti emerge chiaramente dal richiamo operato dall’art. 720-bis c.p.c. delle disposizioni dettate per il procedimento di interdizione e inabilitazione (con la clausola di compatibilità) di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c..

In particolare, il richiamo dell’art. 712 c.p.c. (sulla forma della domanda) e dell’art. 713 (che disciplina la notifica a cura del ricorrente e la comunicazione al PM del decreto di fissazione dell’udienza) non sembrano lasciare dubbi sulla necessità che tali atti siano compiuti con l’assistenza di un difensore, visto anche il tecnicismo insito nella redazione del ricorso e nell’espletamento dell’attività di notifica.

Né appare significativa l’obiezione secondo cui l’art. 406 c. 3 c.c. legittima alla proposizione del ricorso per ads i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno. Come affermato da Trib. Padova, infatti, tale norma – analogamente all’art. 417 c.c. in tema di interdizione e inabilitazione (norma, tra l’altro, richiamata dall’art. 406 c.c.) – riguarda la legittimazione attiva ed elenca, quindi, i soggetti che hanno la legittimazione a proporre il ricorso, ma non la forma dello stesso (disciplinata, come detto, dall’art. 720-bis c.p.c.).

In più, la tesi contraria sembra essere smentita dal secondo comma del medesimo art. 406 c.c., che dispone che “se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima”: ora, essendo pacifico che la domanda di revoca dell’interdizione/inabilitazione (come il ricorso per la nomina) dev’essere proposta da un procuratore abilitato, non si capisce come si possa sostenere che il ricorso congiunto ex art. 406 c. 2 c.c. in parte debba essere presentato da un avvocato e in parte possa essere presentato senza difensore.

Inoltre, le norme che disciplinano la possibilità di passaggio dall’interdizione/inabilita­zione all’amministrazione di sostegno e viceversa presuppongono, perché abbiano senso, che i tre istituiti abbiano la stessa natura: si pensi all’art. 418 c.c. (se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare), all’art. 413 c.c. (che prevede la possibilità per il giudice tutelare di dichiarare la cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario ed eventualmente di informare il pubblico ministero, affinché provveda a promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione), all’art. 429 c.c. (che prevede la possibilità del tribunale, adito per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione, di trasmettere gli atti al giudice tutelare se appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall’amministratore di sostegno).

Non c’è dubbio, infine, che il ricorso per cassazione avverso il decreto della corte d’appello in sede di reclamo (art. 720-bis, c. 3, c.p.c.) debba essere proposto a mezzo di difensore abilitato: ma la previsione stessa della ricorribilità per cassazione rende chiara la volontà del legislatore di assicurare al beneficiario dell’ads il massimo della tutela, come nell’interdizione e inabilitazione, proprio in quanto il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno incide sullo status personale.

Ancora, chi sostiene che l’ads non incida sullo status del beneficiario presuppone che quest’ultimo sia una invariabilmente un soggetto pienamente in grado di esplicare autonomamente tutte o quasi tutte le sue esigenze di vita e che necessiti solo di un aiuto per il compimento di singoli e determinati atti.

La realtà applicativa – al contrario – ha dimostrato che spesso i beneficiari sono soggetti che necessitano di assistenza continuativa anche per l’esplicazione delle elementari esigenze di vita e che abbisognano di essere sostituiti in interi gruppi o categorie di atti, se non addirittura (com’è avvenuto nell’esperienza del Tribunale di Venezia) per tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Se questa lettura della normativa è – forse – autorizzata dalla modifica dell’art. 414 c.c. (che ha reso la pronuncia di interdizione solo facoltativa e l’ha ammessa per i casi in cui l’interdizione sia necessaria per assicurare l’adeguata protezione dell’interdicendo), è inevitabile che ciò conduce a nominare un amministratore di sostegno a soggetti che prima della l. 6/2004 dovevano essere interdetti (o inabilitati) e che, pertanto, erano incapaci, in tutto o in parte, di agire. Ciò conferma che la nomina dell’amministratore di sostegno limita la capacità d’agire e quindi incide sullo status personale.

Neppure condivisibile è l’argomentazione secondo cui la difesa tecnica non sarebbe necessaria in quanto quello per la nomina dell’amministratore di sostegno non sarebbe un provvedimento contenzioso, ma di mera giurisdizione volontaria, senza contrapposizione di diritti o interessi contrapposti a quelli del beneficiario, destinato a concludersi con un decreto sempre revocabile.

Innanzitutto non pare che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno sia assoggettato alla disciplina della revocabilità in ogni tempo dei decreti emessi in camera di consiglio ex art. 742 c.p.c.. Tant’è vero che è stata inserita nel capo sull’amministrazione di sostegno una norma specifica, l’art. 413 c.c., che, però, prevede la revoca solo in caso di mutamento di circostanze: non quindi revoca in senso tecnico, con effetti ex tunc, ma piuttosto “cessazione”, con effetti ex nunc. Ed infatti la parola “revoca” compare (impropriamente) solo nella rubrica dell’art. 413 c.c., mentre nel testo si parla per due volte, appunto, di “cessazione”. E, d’altra parte, l’art. 407 c. 4 c.c., dispone che “il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno”, ma non revocare il decreto in seguito ad una nuova valutazione dei presupposti per l’emissione.

A ben vedere, quindi, gli effetti del decreto ex art. 405 c.c., sono assai simili a quelli del giudicato rebus sic stantibus delle sentenze di interdizione e inabilitazione, che sono sempre revocabili o modificabili in caso di mutamento delle circostanze.

Per quanto detto sull’incidenza sullo status, poi, appare senz’altro da escludere che il procedimento ex art. 404 ss. c.c. si risolva in un procedimento di mera natura volontaria, tranne, forse, il caso in cui lo stesso sia proposto direttamente dal beneficiario ed assuma, quindi, una sicura fisionomia unilaterale.

Ma, com’è stato osservato da recente dottrina, non è neppure certo che la natura volontaria del procedimento renda – di per sé – facoltativa la difesa tecnica.

Se, infatti, appare pacifico che le istanze relative alla gestione del patrimonio e, più in generale, le istanze proposte al g.t. successivamente alla nomina del tutore/curatore/am­ministratore di sostegno, possano essere avanzate senza ministero di difensore, vi sono elementi normativi che potrebbero far propendere per la facoltatività della difesa tecnica solo nei casi di procedimenti camerali di volontaria giurisdizione unilaterali, e quindi per l’obbligo di difesa tecnica per i procedimenti di volontaria giurisdizione plurilaterali (si veda l’art. 25 c. 3 d.lgs. 5/2003 in tema di procedimenti in camera di consiglio nel nuovo processo societario).

In conclusione, nessuna rilevanza può assumere la divergente forma del provvedimento conclusivo (decreto anziché la sentenza), la competenza (attribuita al giudice tutelare anziché al collegio) e la diversa disciplina delle impugnazioni, attuata con il sistema del reclamo, introdotte per mere esigenze di semplificazione nel procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno e che non ne modificano la natura di istituto che incide sullo status personale e che necessita, per questo motivo, della struttura contenziosa.

Il ricorso, pertanto, è affetto da nullità insanabile e tale nullità è rilevabile d’ufficio dal giudice attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale.

P.Q.M.

Dichiara la nullità del ricorso.

Si comunichi.

Dolo, 13 giugno 2005.

Il Giudice

Dott. Gianmarco Marinai

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