Ads: obbligatorietà della difesa tecnica?

AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO:

SERVE L’AVVOCATO?

Assistenza tecnica con l’avvocato?

In molti ci chiedono se vi sia una posizione certa  sulla necessità dell’assistenza tecnica nel procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno.
Per esser più precisi la domanda più frequente è: quando è obbligatoria l’assistenza di un avvocato per la proposizione del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno?

Ebbene, sul punto è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con una ormai celebre pronuncia:

  • Cassazione – Sezione I° Civile- Sentenza 10 ottobre – 29 novembre 2006, n. 25366 (Pres. Olla- est. San Giorgio)

La Suprema Corte ha precisato che:

«Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio».

Di seguito riportiamo il testo integrale del provvedimento.

Avv. Alberto Vigani

***

Svolgimento del processo
1.1. – La Corte d’appello di Venezia, con decreto depositato il 2 febbraio 2006, respingendo il reclamo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova, il quale riteneva che la procedura per la nomina dell’amministratore di sostegno non potesse essere attivata senza necessità del patrocinio del difensore, confermò il provvedimento del Giudice tutelare di Padova – Sezione distaccata di Cittadella – che, su richiesta presentata personalmente da (…), aveva nominato un amministratore di sostegno in favore di (…) individuato nella persona della stessa richiedente.

1.2. – La decisione della Corte muove dalla considerazione della finalità della legge 6/2004, che ha comportato una rottura con il precedente sistema fondato sullainterdizione dell’incapace, intesa soprattutto a proteggere la famiglia e la societàdall’infermo più che l’infermo stesso, che veniva totalmente emarginato, essendogli preclusa ogni attività: un cosi radicale cambiamento non poteva non richiedere l’intervento del patrocinio legale nel relativo procedimento. La legge sull’amministrazione di sostegno – rileva la Corte veneta -introduce un procedimento semplificato, improntato alla massima rapidità e sburocratizzazione, correlato ai principi costituzionali di cui agli articoli 2 e 3 Costituzione, teso, com’è, ad espandere, invece che a comprimere, le potenzialità del beneficiario. L’amministrazione di sostegno è diretta infatti ad eliminare ostacoli all’esercizio dei diritti del soggetto debole più che a limitarlo nell’esercizio dei suoi diritti, come l’interdizione.

1.2. Dunque, non sarebbe ipotizzabile alcuna omogeneità tra l’uno e l’altro istituto. La nuova legge è stata concepita per venire incontro a coloro che si trovano in difficoltà nell’esercizio dei diritti. Tale finalità verrebbe frustrata se si imponessero rallentamenti al procedimento ed al contatto diretto del soggetto con il Giudice tutelare.(omissis)

– Del resto, le deroghe alla disposizione dell’articolo 82 Cpc – che stabilisce il principio in base al quale le parti possono stare in giudizio innanzi al Tribunale solo con il ministero di un procuratore legalmente esercente – non sono solo quelle previste espressamente dalla legge, ma tutte quelle in cui l’esclusione del patrocinio si desume in via interpretativa dal sistema.(omissis)

Per di più, secondo la Corte, dalla stessa lettera della legge sarebbe desumibile la esclusione della necessità del patrocinio legale per proporre il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno.
Infatti, l’articolo 411, ultimo comma, Cc, nel testo introdotto dalla legge in esame, prevede un ricorso particolare, che può essere presentato anche successivamente a quello per detta nomina, inteso ad estendere all’amministrazione di sostegno
alcuni effetti o limitazioni proprie dell’interdizione: tale ricorso può essere presentato direttamente dal beneficiario. L’espressione «direttamente» equivarrebbe all’altra «personalmente»: sicché, non sarebbe concepibile che il ricorso base richieda il patrocinio del difensore.
(omissis)

Motivi della decisione

(omissis)

2. – La doglianza è fondata nei sensi e nei limiti che saranno di seguito precisati.

2.1.- La questione, sottoposta per la prima volta all’esame della Corte, riguarda la possibilità di presentare la richiesta di nomina dell’amministratore di sostegno e, più in generale, di partecipare al relativo procedimento, in primo grado, senza il
ministero di un difensore. Il problema trae origine dalla mancanza, nella legge6/2004, la quale ha introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’amministrazione di sostegno, di alcuna disposizione che espressamente preveda la difesa tecnica nel procedimento di cui si tratta, né che ne escluda dichiaratamente la necessità.

2.2. – La soluzione della questione richiede una premessa sulla portata della regola dell’onere del patrocinio, posta, in via generale, dall’articolo 82, comma 3, Cpc, il quale stabilisce che, «salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte di appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente-…». Alcune delle eccezioni alla regola – la quale comporta la nullità della domanda giudiziale priva della sottoscrizione del difensore – sono disposte dallo stesso codice di rito, in relazione, generalmente, alla minore rilevanza sociale ed economica della controversia, ovvero alla sua particolare natura: si pensi, per un verso, ai procedimenti davanti al giudice di pace (articolo 82, primo comma, Cpc), o alle controversie di lavoro innanzi alsiccome dirette ad integrare o assicurare l’autonomia del soggetto – e comunque espressamente prevista dall’articolo 407, ultimo comma, Cc nel testo introdotto dalla legge 6/2004, nonché dall’articolo 406 novellato, il quale annovera, mediante il rinvio all’articolo 417 dello stesso codice, il Pm tra i soggetti legittimati a proporre il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno.

In definitiva, il modello procedimentale prescelto dal legislatore sarebbe quello, già sperimentato per la interdizione e la inabilitazione, del giudizio contenzioso, con la presenza del Pm e del/i privato/i interessato/i, in cui la decisione compete al giudice terzo, chiamato a dirimere un giudizio conflittuale tra parti contrapposte, senza che rilevi la circostanza che, in concreto, la posizione delle parti non sia conflittuale. Nessun pregio avrebbe, poi, l’accostamento, operato dalla Corte territoriale, tra il procedimento di cui si tratta e quello in materia di trattamento sanitario obbligatorio, in relazione al quale l’articolo 35, comma 6, della legge 833/78 prevede che il giudice tutelare adotti, anche di ufficio, e quindi senza assistenza legale, i provvedimenti urgenti per la cura della persona e la conservazione o amministrazione del suo patrimonio, trattandosi, in detta ipotesi, di intervento ad esclusiva tutela della libertà personale del soggetto, senza che il
provvedimento emesso, puramente conservativo ed assolutamente urgente, incidain alcun modo sullo stato e sulla capacità del’interessato; né l’altro accostamento con la previsione, contenuta nella legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, secondo la quale la minore può essere autorizzata dal giudice tutelare, quando manchi o si opponga chi esercita la potestà, o quando sia sconsigliabile la consultazione o se i pareri siano difformi. In tal caso, infatti, il conflitto – che, comunque, non incide sullo stato e la capacità delle persone – è escluso dalla legge, che riconosce la prevalenza della volontà della donna, sulla cui serietà si pronuncia il giudice tutelare, senza intervento del Pm o di difensore, in considerazione del carattere strettamente privato della situazione.
Infine, la Corte di merito avrebbe ignorato l’ulteriore argomento a favore della tesi della natura contenziosa del procedimento di cui si tratta, e del caratteredecisorio del provvedimento che lo definisce, costituito dalla esplicita previsione della ricorribilità in Cassazione del decreto emesso in sede di reclamo (articolo 720bis Cpc).

2.3. – Altre deroghe alla regola generale di cui si tratta sono state ravvisate in via interpretativa con riguardo ad ipotesi in cui, per le peculiarità dei procedimenti, il ricorso al patrocinio si risolverebbe in un pregiudizio alla parte. In tale ottica, questa Corte ha ritenuto che nei procedimenti di volontaria giurisdizione, in cui manca una contesa su diritti, soggetta al rito camerale, e che dà luogo a provvedimenti sostanzialmente amministrativi, e solo soggettivamente giudiziari, in quanto attribuiti alla competenza di un giudice anziché di un’autorità amministrativa, non sia necessario il ministero del procuratore (v. Cassazione, sentenza 5814/87).
E tuttavia ritiene il Collegio che il richiamo alla natura del procedimento come di volontaria giurisdizione non sia risolutivo al fine di stabilire se il ricorrente debba farsi rappresentare da un avvocato, stante la ricorrente introduzione da parte del legislatore, nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, di norme impositive dell’onere del patrocinio, in ragione della esigenza sempre più avvertita del rispetto delle garanzie dirette a realizzare la pienezza del diritto di difesa anche in relazione a procedimenti siffatti: possono al riguardo richiamarsi, in materia di adozione, il articolo 10 della legge 184/83, come modificato dall’articolo 10 della legge 149/01 – la cui efficacia, quanto alle disposizioni processuali nella stessa contenute, è, peraltro, tuttora sospesa, per effetto delle reiterate proroghe disposte – , il quale impone la presenza del difensore sin dal primo atto del procedimento relativo all’accertamento dello stato di abbandono del minore, nonché la prescrizione, contenuta nell’articolo 37 della stessa legge, che nei procedimenti camerali di ablazione o di limitazione della potestà genitoriale regolati dal codice civile (articoli 330, 333, 336) i genitori e il minore siano assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge. Ed ancora la nuova disciplina del processo societario prevede la necessità della difesa tecnica per tutti i procedimenti camerali di giurisdizione volontaria bio plurilaterali, mentre la considera facoltativa per i procedimenti unilaterali (articolo 25 comma 3, del D.Lgs 5/2003).
Appare pertanto evidente che 11 equivalenza tra rito della giurisdizione volontaria ed attività amministrativa del giudice deve considerarsi ampiamente superata e che anche il binomio rito camerale – atecnicità della difesa non è ulteriormente
sostenibile, attesa la sempre più estesa utilizzazione da parte del legislatore di detto rito camerale, in ragione della sua maggiore funzionalità rispetto ad esigenze di semplificazione e concentrazione. il rito camerale è invero divenuto
una sorta di contenitore neutro ( secondo la felice espressione di Su 5629/96), nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie su diritti o status.

2.4. – In definitiva, il discrimen ai fini della affermazione, ovvero della negazione, della necessità della difesa tecnica, nelle ipotesi di mancata previsione legislativa espressa in un senso o nell’altro, non può essere individuato nel carattere
contenzioso ovvero di volontaria giurisdizione della procedura di cui si tratta.
Come me sarà poi detto, dovrà essere rapportato, invece, alla consistenza delle situazioni soggettive coinvolte.

2.5. – Ciò posto, la risposta al quesito se tale ministero debba ritenersi obbligatorio anche con riguardo alla procedura diretta alla istituzione dell’amministrazione di sostegno – quesito in ordine alla cui soluzione si sono manifestate in dottrina, come nelle pronunce dei giudici di merito, posizioni divergenti – postula la approfondita analisi della natura, della sfera di operatività dell’istituto di cui si tratta e delle sue finalità peculiari.
Il tema della perimetrazione e dell’ambito di applicabilità dell’amministrazione di sostegno in rapporto agli istituti della interdizione e della inabilitazione è stato affrontato da questa Corte con la sentenza 13584/06, nella quale si è sottolineato
che il nuovo istituto ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire,
distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti di protezione, quali, appunto, la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla legge 6/2004. Rispetto a tali istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno, secondo le affermazioni della predetta sentenza, che il Collegio intende ribadire, va peraltro individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. In particolare, con l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, anche in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro
strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura.
Una tale scelta, ha avvertito la Corte nella citata sentenza, non può non essere influenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della protezione. Ad un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, ed, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità dell’interessato, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione della maggiore snellezza della procedura, ma altresì su quello etico-sociale, per il maggior rispetto della dignità
dell’individuo che essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure della inabilitazione e della interdizione, le quali attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a quelli di. amministrazione ordinaria. Al contrario, la disciplina della legge 6/2004 delinea una generale
capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l’amministrazione medesima. Ne consegue che il giudice – che, non casualmente, è il giudice tutelare, e cioè una figura cui sono normalmente affidate funzioni riconducibili all’amministrazione di interessi ed alla vigilanza ed al controllo( più che alla soluzione di controversie tra parti che contendano su di un diritto), da esercitare attraverso un procedimento in relazione al quale l’ordinamento non conosce casi in cui sia richiesto l’onere della difesa tecnica – il quale, anche ad istanza dello stesso interessato, procede alla nomina dell’amministratore, si
limita, in via di principio, ad individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento, senza peraltro determinare una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario. Egli, infatti, non si muove, come il giudice della interdizione, nell’ottica del l’accertamento della incapacità di agire della persona sottoposta al suo esame – finalizzato essenzialmente alla difesa degli interessi dei familiari, che potrebbero subire pregiudizio dalla sua condotta, oltre che dei terzi che vengano con essa in contatto – ma nella diversa direzione della individuazione, nell’interesse del beneficiario, dei necessari strumenti di sostegnocon riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo.

2.6. – In sintesi, deve quindi direi che la legge 6/2004 ha introdotto un istituto la cui disciplina presenta caratteristiche che lo distinguono, e lo contrappongono, nella sua stessa essenza ontologica, alle altre figure di “protezione degli impediti
ad agire” ed ai corrispondenti modelli procedimentali già presenti nel nostro ordinamento positivo e rimasti peraltro in vigore.
Sul piano sostanziale, l’istituto attiene a situazioni intrinsecamente ed essenzialmente diverse tra loro che, come si è visto, si estendono dalla mera impossibilità – anche solo fisica e transeunte – di porre in essere atti giuridici di pochissimo momento (la materiale riscossione della pensione) a fattispecie di vera e propria incapacità fisica o psichica, omologhe a quelle giustificanti
l’inabilitazione o l’interdizione; correlativamente, prevede e consente interventi che si estendono dalla semplice attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti di mera “assistenza”, talvolta soltanto fattuale, alla possibilità, “dell’estensione al beneficiario dell’amministrazione di sostegno” di “determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato” (articolo 411, comma 3, Cc). Il tutto, peraltro, senza mai comportare l’incapacità generale, totale o parziale, dell’amministrato, ma solo una limitazione rispetto a determinate attività.
Sul piano del “modello del procedimento”, relativo all’amministrazione di sostegno si individuano precetti che- mentre sono sicuramente armonici e coerenti al nuovo istituto – risultano del tutto antinomici rispetto al .pregresso sistema
processuale ed alla sua ricostruzione da parte della dottrina e dellagiurisprudenza. Valga ad esempio la finora ritenuta impossibilità di coniugare – secondo il diritto vivente – l’ammissibilità del ricorso per cassazione con la non definitività dei provvedimenti connessa alla loro revocabilità e modificabilità, laddove per la legge 6/2004 è previsto il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno (articolo 720bis, comma 3, Cpc) nonostante questi siano sempre modificabili o revocabili (articolo 407,comma 3, Cc).Vale a dire che l’amministrazione di sostegno si configura come un istituto nel cui contenitore sono riunite ed unificate fattispecie che secondo il sistema previgente erano considerate tra loro ontologicamente diverse; e che prevede rimedi e forme di tutela, anch’essi radicalmente nuovi e non compatibili con le preesistenti – ma rimaste in vigore – figure normative di protezione degli incapaci.
Ne discende anzitutto l’impossibilità di far ricorso, ai fini interpretativi e ricostruttivi (sia in generale sia in relazione ala specifica questione di cui si tratta), al canone sistematico ed agli arresti giurisprudenziali (anche se delle Su) in materie sostanziali e processuali sostanzialmente similari; e la necessità di utilizzare a quel fini unicamente le regole dettate in modo espresso per l’istituto che ne occupa, apprezzate alla luce dei principi cardine del nostro sistema costituzionale.
Ed è proprio la mancata considerazione della coesistenza in un unicum di ipotesi diverse, della atipicità rispetto al sistema preesistente del modello procedimentale, e della radicale novità sostanziale e formale, dell’istituto, che ha determinato e determina il contrasto (finora) inconciliabile ed insanabile della dottrina e della giurisprudenza in ordine alla questione che ne occupa.
Da una parte e dall’altra si ipotizza un’unica soluzione valida per tutti i casi indistintamente; ed in questa prospettiva si contrappongono, a sostegno, precedenti precetti positivi ed arresti giurisprudenziali che però possono valere
esclusivamente per taluna delle fattispecie assoggettabili alla amministrazione di sostegno, ma non per tutte. Ma ne discende, anche, l’impossibilità di (ed addirittura la preclusione ad) una soluzione unitaria del problema applicabile indistintamente a tutte le ipotesi.
Si impone, pertanto, l’adozione di soluzioni differenziate a seconda delle variefattispecie per le quali è richiesta l’amministrazione di sostegno.
Si tratta di una soluzione che – stante il radicale silenzio della legge sulla questione di cui si tratta – non solo non è preclusa, ma è del tutto legittima.
Nel medesimo senso, del resto, sono indirizzati gli studi più recenti, la cui indagine infatti – dimostrata ed acquisita la insostenibilità delle dottrine prospettanti una soluzione unitaria in un senso o nell’altro -è diretta sia a giustificare l’ammissibilità della soluzione differenziata, che ad individuare il relativo discrimen.

2.7. – Invero, in presenza di interventi che, come si è visto, si limitano all’attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti di mera “assistenza”, a volte solo fattuale, si profila del tutto incongrua – ferma. ovviamente, la
possibilità, da riconoscersi a chiunque, di farsi assistere da un patrocinante, ove lo ritenga opportuno – la previsione del necessario ministero del difensore a favore di un soggetto che non fa valere una sua pretesa nei confronti di un altro
soggetto, ma chiede l’intervento del giudice in funzione attuativa di un proprio interesse, tra l’altro coincidente con l’interesse generale. Ed invero una tale previsione appare incompatibile con quelle esigenze di rapidità, semplificazione, non onerosità che sono a base del nuovo istituto, non solo – e con maggiore evidenza – con riguardo ai casi in cui il provvedimento sia richiesto dallo stesso interessato, non essendo ragionevolmente ipotizzabile una necessità di assistenza a favore di chi non debba difendere un suo diritto da una contestazione, ma piuttosto ricevere un aiuto nel compimento di un’attività nel suo stesso interesse; ma anche, in via generale, quando la richiesta sia avanzata da persona diversa dal beneficiario, atteso che in tale ipotesi la difesa tecnica, predisposta sostanzialmenteper la stesura della istanza introduttiva della procedura e per
l’assistenza del richiedente in ogni fase della stessa, avrebbe l’effetto di assicurare il diritto di difesa non già a favore del soggetto nei cui confronti la misura è destinata ad operare, ma di altro soggetto (in ipotesi anche in posizione di
contrasto con il primo proprio quanto alla valutazione della opportunità della applicazione della misura stessa). Né vale osservare, come fa il ricorrente, che l’articolo 720bis Cpc stabilisce che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni processuali che concernono le procedure di interdizione e di inabilitazione. Ed invero il riferimento all’articolo 720bis Cpc si
risolve in un argomento di scarso rilievo, atteso che la clausola di non incompatibilità delle norme richiamate non esime l’interprete dal compito di accertare la sussistenza del requisito di compatibilità. Peraltro il regime di stabilità del provvedimento, suscettibile in ogni tempo di modifica o integrazione, anche di ufficio, ed anche per effetto di una rivalutazione delle circostanze già esaminate, nonché la previsione del reclamo contro il decreto del giudice tutelare a norma dell’articolo 739 Cpc già valgono a restringere l’ambito di compatibilità della normativa richiamata.
Nemmeno può attribuirsi rilievo decisivo alla previsione della ricorribilità per cassazione, contenuta nell’articolo 720bis, comma 3, Cpc, contro il decreto della Corte d’appello pronunciato in sede di reclamo avverso il provvedimento di
nomina dell’amministratore di sostegno, atteso che l’ammissione di tale strumento impugnatorio, che ovviamente esige la presenza di un difensore, non comporta necessariamente l’obbligatorietà del patrocinio sin dall’inizio della procedura e non può alterare il dato sostanziale costituito dall’assenza di una litetra parti contrapposte. Del resto, l’ordinamento conosce diverse ipotesi in cui è previsto il ricorso per cassazione – con conseguente obbligo di patrocinio legale – nonostante la esclusione della necessità del patrocinio medesimo in primo grado (si pensi a tutte le cause davanti al giudice di pace il cui valore non eccede euro 516,46, ovvero in cui comunque sia lo stesso giudicante ad autorizzare la parte a stare in giudizio: articolo 82, commi 1 e 2, Cpc; ovvero alle controversie in materia di tributi di importo inferiore ad curo 2.582,28, in cui le parti possono stare in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie anche senza assistenza tecnica: articolo 12, comma 5, del D.Lgs 546/92).
Né può ancora ritenersi che la previsione della partecipazione obbligatoria del Pm al procedimento stesso comporti, quale necessario contrappeso, la presenza del difensore del beneficiario, trovando tale partecipazione fondamento nella funzione di verifica della osservanza della legge, che non richiede necessariamente la garanzia del contraddittorio attraverso la difesa tecnica.
A conferma della soluzione accolta non può infine non trarsi argomento dai lavori preparatori, atteso che in sede di dibattito parlamentare sulla legge 6/2004 un emendamento all’articolo 407, comma 2, diretto ad inserire una previsione in tal
senso, dapprima presentato, venne successivamente ritirato.
2.7. – La riferita costruzione entra, però, in crisi allorché il provvedimento invocato comporti una limitazione della capacità di agire del soggetto interessato, e dunque una compressione della sua libertà ed autonomia, tale da incidere nella sfera dei diritti inviolabili dell’uomo.
Ed invero, nell’esercizio degli ampi poteri discrezionali affidati al giudice tutelare nella individuazione delle misure idonee a garantire la migliore tutela del beneficiario, ed in particolare nell’avvalersi del potere, previsto dall’articolo 411,
ultimo comma, Cc, di disporre che «determinati effetti, limitazioni o decadenzeprevisti da disposizioni di legge per l’Interdetto o l’inabilitato si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno», ben può detto giudice emettere provvedimenti incidenti nella sfera giuridica dell’interessato con effetti analoghi a quelli “incapacitanti” dei due tradizionali istituti di protezione: a fronte di detta possibilità, consentita dalla riconosciuta permeabilità dell’istituto rispetto alle altre forme di tutela degli incapaci, una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento esige che il destinatario della misura ablativa di diritti disponga delle medesime garanzie che assistono le procedure di interdizione o di inabilitazione, con particolare riferimento al rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, non potendo ragionevolmente riconoscersi garanzie differenziate in relazione a provvedimenti che spieghino pari effetti sostanziali. Tale diritto di difesa, che nemmeno viene in giuoco allorché gli interventi siano non già limitativi, ma di solo sostegno, deve pertanto trovare completa attuazione ove si tratti di provvedimenti incidenti su diritti fondamentali riconducibili alla esplicazione della personalità dell’individuo, che non possono essere adottati, nel rispetto della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se non a seguito di un contraddittorio pieno, nel quale solo l’assistenza tecnica è in grado di garantire il rispetto della legalità.
Ciò vale a dire che, se pure la natura, la struttura e la funzione del procedimento in esame impediscono in linea di principio l’applicazione della disciplina generale in materia di difesa tecnica, va tuttavia fatta salva l’esigenza di tale difesa e del
contraddittorio, quali garanzie fondamentali offerte dal giusto processo, in ogni caso in cui- il provvedimento da emettere, sia o non corrispondente alla misura richiesta, incida in maniera diretta sui diritti inviolabili della persona. In tali casi il giudice è pertanto tenuto ad invitare la parte a nominare un difensore.
2.8. – Nella specie, la Corte di appello veneta, la quale correttamente ha escluso una totale assimilazione strutturale e funzionale tra l’istituto dell’amministrazione di sostegno da un lato e la interdizione e la inabilitazione dall’altro, facendone scaturire la conseguenza della esclusione, in linea di principio, della necessità della difesa tecnica, non si è, poi, però, fatta carico di accertare se nella specie si versasse in una situazione tale da rendere necessario il ricorso ad alcune delle limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, ed ha fatto, pertanto, non corretta applicazione dei principi sopra affermati.

(omissis)
3. – Il ricorso deve essere, nei sensi indicati, accolto. Il decreto impugnato va pertanto cassato e la causa rinviata alla Ca di Venezia, in diversa composizione, che riesaminerà la questione della necessità a meno della difesa tecnica nel giudizio de quo alla luce del seguente principio di diritto: «Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio».

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e
rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Trova qui gli articoli collegati e più interessanti:

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