L’amministratore di sostegno svolge un’attività che si presume prestata con animo di gratuità. Essa quindi viene liquidata dal Giudice in via forfetaria con un mero indennizzo e non con un compenso professionale: infatti, con il rinvio dell’art. 411, comma 1, c.c., si può ritenere applicabile l’art. 379 c.c. — che dispone in materia di tutore – anche all’istituto dell’amministrazione di sostegno:
“Si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388. I provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare.”
In particolare, l’art. 379 prevede che:
“L’ufficio tutelare è gratuito.
Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate”.
Molto spesso però l’A.D.S. si onera di attività impegnative e dimensionalmente cospicue: per questa ragione, anche in applicazione del secondo comma dell’art. 379, è previsto che possa essergli liquidato un rimborso delle spese e, eventualmente, un equo indennizzo che verrà quantificato dal Giudice Tutelare con riferimento all’attività effettivamente svolta.
Secondo la lettura interpretativa fornita dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 6 dicembre 1988 n. 1073, GC 1989, I, 258) l’“equa indennità”, che a norma dell’art. 379, secondo comma, c.c., il giudice tutelare può assegnare al tutore, “considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione”, «non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l’ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti», i “coadiuvanti” previsti nell’ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell’art. 1717, secondo comma, cod. civ., bensì semplici ausiliari dell’obbligato nel senso dell’art. 1228 c.c.
Secondo il Giudice delle Leggi, dunque, l’art. 379 comma 2 c.c. prevede una “riparazione” del patrimonio del rappresentante, mediante ristoro del denaro che compensa delle attività perdute e delle spese sostenute.
L’indennità liquidabile non pare quindi essere calcolabile sulle Tariffe Forensi degli Avvocati, poiché non ha natura retributiva.
In divergenza, tuttavia, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (2/2012) ritiene che l’indennità ex art. 379 c.c. rappresenti comunque, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.
La motivazione del provvedimento è il seguente: 1) il provvedimento di assegnazione dell’equa indennità si basa su criteri retributivi, come le Tariffe forensi degli Avvocati; 2) l’ordinanza della Corte costituzionale n. 1073 del 1988 contiene principi di diritto non applicabili all’amministrazione di sostegno in quanto la Consulta si è pronunciata in materia di interdizione.
Il Tribunale di Varese, con decreto 20 marzo 2012 del Giudice tutelare G. Buffone, ne avevamo già parlato qui, non ritiene di accogliere l’indicazione dell’Agenzia delle Entrate ribadendo che l’indennità che il giudice tutelare liquida all’amministratore di sostegno, ex artt. 379, comma II, 411, comma I, c.c. non ha valore retributivo ma indennitario; per questa ragione, se il professionista incaricato dell’amministrazione di sostegno, per sua libera interpretazione, opta per qualificare l’indennità ex art. 379 c.c. come posta retributiva, allora è nella somma stessa che deve ricercare gli accessori di legge e non in un compenso ulteriore.
Peraltro, in passato l’Agenzia delle entrate si era comunque pronunciata per la non imponibilità delle somme corrisposte all’amministratore di sostegno, affermando che «l’ equa indennità percepita dall’istante in qualità di tutore (…) non costituisce reddito imponibile ai fini dell’IRPEF ed ai fini dell’IVA e di conseguenza non sussistono obblighi di rilascio di documenti validi ai fini fiscali»; da ciò era persino derivata la non deducibilità dal reddito professionale dei costi sopportati in inerenza alla funzione di ADS (Direzione Regionale del Friuli Venezia Giulia, risposta all’interpello prot. 8929 di data 31 marzo 2011; nello stesso senso sembra essersi espressa anche la Direzione Regionale della Lombardia nella risposta all’interpello prot. 17366 di data 29 marzo 2008).
In ogni caso, l’amministratore di sostegno dovrà presentare periodicamente, di prassi su base annua, apposita istanza al Giudice Tutelare competente esponendo dettaglio analitico delle spese sostenute e resoconto dell’attività svolta per conto del beneficiato ed allegando apposita documentazione a conferma.
Di seguito riportiamo per esteso il provvedimento del Tribunale varesotto.
Avv. Alberto Vigani
***
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO – INDENNITÀ EX ART. 379 C.C. – CARATTERE RETRIBUTIVO – ESCLUSIONE – CARATTERE INDENNITARIO – SUSSISTE – RISOLUZIONE AGENZIA ENTRATE, N. 2/2012 – ERRONEITÀ – SUSSISTE
L’indennità che il giudice tutelare liquida all’amministratore di sostegno, ex artt. 379, comma II, 411, comma I, c.c. non ha valore retributivo ma indennitario; non è, dunque, condivisibile la lettura offerta dell’istituto dall’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 2 del 2012O S S E R V A
IN FATTO.
Con decreto del 20 febbraio 2012, questo GT ha liquidato, in favore della istante, una indennità ex art. 379 c.c., quantificata in totali Euro 1.000,00. Con istanza del 14 marzo 2012, l’istante chiede che la somma venga maggiorata degli accessori di Legge, ovvero CPA ed IVA. L’istanza non può trovare accoglimento.
IN DIRITTO.
Giova premettere che gli uffici a protezione degli incapaci sono gratuiti (art. 379, comma I, c.c.). Ciò nondimeno, il giudice tutelare può riconoscere una indennità al tutore (v. art. 424, comma I, c.c. che richiama la norma ex art. 379 c.c.) o all’amministratore di sostegno (artt. 411, comma I, c.c., che richiama l’art. 379 c.c.) considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione (essendo l’Ufficio gratuito); resta salva, la facoltà di chiedere l’ausilio di collaboratori stipendiati ai sensi dell’art. 379, comma II, cod. civ.
L’indennità, ex art. 379 cod. civ., non avendo carattere retributivo, va intesa come rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi.
E, infatti, secondo la lettura interpretativa autorevolmente fornita dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 6 dicembre 1988 n. 1073, GC 1989, I, 258) l’“equa indennità”, che a norma dell’art. 379, secondo comma, c.c., il giudice tutelare può assegnare al tutore, “considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione”, «non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l’ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti», i “coadiuvanti” previsti nell’ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell’art. 1717, secondo comma, cod. civ., bensì semplici ausiliari dell’obbligato nel senso dell’art. 1228 c.c. Secondo il Giudice delle Leggi, dunque, l’art. 379 comma 2 c.c. prevede una “riparazione” del patrimonio del rappresentante, mediante ristoro del denaro che compensa delle attività perdute e delle spese sostenute.
Da ciò discende,
come primo effetto, che l’indennità non può essere calcolata sulle Tariffe Forensi degli Avvocati, poiché non ha natura retributiva (tariffe, peraltro, abrogate dall’art. 9 dl. 1/2012): guardare a parametri modulati con taglio “retributivo” non è, cioè, corretto. Il giudice tutelare deve liquidare l’indennità “Caso per Caso”, in ragione delle effettive attività poste in essere e, anche, dei successi e risultati raggiunti dall’amministratore.
La liquidazione “per casi” può, però, presentare un inconveniente dove manchino un minimo di “criteri comuni” con la funzione di garantire una omogeneità nella risposta liquidatoria ed evitare decreti che, per situazioni più o meno analoghe, statuiscano soluzioni sostanzialmente divergenti. Da qui l’introduzione di alcuni protocolli (come per questo ufficio). Ma qui interviene l’eventuale scelta del singolo Tribunale che, pur istituendo criteri per una liquidazione “di massima”, non determina certo “la trasformazione” della indennità ex art. 379 cc. da posta indennitaria a posta retributiva. In altri termini – immutato l’oggetto (una indennità) – appurato l’an, il giudice tutelare, in ordine al quantum, può seguire i criteri interni all’Ufficio, elaborati sulla base di una campionatura della giurisprudenza tutelare.
La funzione dell’indennità corrisposta
ex art. 379, comma II, c.c., in conclusione, propende univocamente per la sua esclusione dal novero dei compensi a carattere retributivo, posto che non viene applicato il criterio della proporzionalità (art. 36 Cost.) ma quello dell’equità e della ragionevolezza e tenuto conto del fatto che la somma concessa all’amministratore non lo “paga” delle attività svolte ma delle attività “perdute”, nel senso che lo ristora di un pregiudizio al patrimonio (tant’è che i parametri liquidatori previsti dall’art. 379 c.c. non sono l’attività e l’impegno del rappresentante, ma il patrimonio e la situazione economica del rappresentato). Da qui, dunque, l’inclusione dell’importo nell’ambito delle indennità a carattere non retributivo. Si tratta di una linea interpretativa conforme all’insegnamento della Corte Costituzionale (v. ordinanza n. 1073 del 24 novembre1988).
Tuttavia,
di recente, una Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (2/2012) ha optato per la soluzione opposta ritenendo che l’indennità ex art. 379 c.c. rappresenti comunque, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633. Depurando la risoluzione dalle parti teoriche non utili, la motivazione del provvedimento è il seguente: 1) il provvedimento di assegnazione dell’equa indennità si basa su criteri retributivi, come le Tariffe forensi degli Avvocati; 2) l’ordinanza della Corte costituzionale n. 1073 del 1988 contiene principi di diritto non applicabili all’amministrazione di sostegno in quanto la Consulta si è pronunciata in materia di interdizione.
La delibera non è condivisibile per i seguenti motivi.ARGOMENTO 1.
L’indennità costituisce comunque un compenso.
«Nell’ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria di competenza della scrivente, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633».L’argomento non è condivisibile. In primo luogo, sarebbe singolare (stando alla risoluzione) far dipendere l’applicazione del prelievo fiscale dalla qualità soggettiva dell’amministratore, nel senso che si applicherebbe l’imposta per l’Avvocato e non anche per il familiare che non esercita una professione, con buona pace dell’art. 3 della Costituzione. Ad ogni modo, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria, in tanto una elargizione può costituire un compenso in quanto accresca il patrimonio del percettore e non costituisca, invece, una “riparazione monetaria” per una perdita che va compensata. Orbene, nel caso di specie, con l’indennità il giudice, accertate le spese sostenute dall’amministratore e le perdite causate dall’impegno con il beneficiario, lo rimborsa – e non integralmente – per evitare che tragga pregiudizio dall’attività solidaristica svolta in favore del soggetto debole.
ARGOMENTO 2.
Applicazione variabile dell’art. 379 c.c.
«Si ritiene che la conclusione non sia inficiata dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 1073 del 1988. L’intervento della Corte costituzionale è del 1988, mentre le norme in materia di amministrazione dei sostegno sono state introdotte con la legge n. 6 del 2004, e l’art. 411 c.c. rinvia all’art. 379 c.c., in quanto compatibile, facendo con ciò presumere che l’applicazione di quest’ultimo comporta comunque una verifica di detto requisito da parte dell’interprete in relazione alla situazione concreta».L’argomento non convince. La Risoluzione, dovendo necessariamente confrontarsi con la decisione della Corte Costituzionale del 1998 che ha affermato la natura non retributiva dell’indennità, osserva che la pronuncia riguarda l’interdizione e non l’amministrazione di sostegno. Orbene, l’art. 379 comma I c.c., richiamato dall’art. 411, comma I, c.c. è integralmente compatibile con l’amministrazione di sostegno ed apparirebbe, anche qui, assolutamente singolare immaginare che, in caso di interdizione, valendo Corte cost. 1998, l’indennità ha valore indennitario mentre in caso di amministrazione, non valendo Corte cost. 1998, l’indennità ha valore retributivo. Anche qui con una foce interpretativa che si infrange contro il principio di uguaglianza dinanzi alla Legge.
La soluzione della Agenzia
presenta, poi, nel merito, profili di incostituzionalità, nel senso che suggerisce l’adozione di una interpretazione dell’art. 379 c.c. in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 Cost. Non è difficile rilevare, infatti, come essa rischi di pregiudicare la tutela del soggetto debole perché, con la fatturazione e l’incameramento delle somme nel reddito imponibile, viene svilita la funzione stessa dell’istituto ex art. 379 c.c. che non arricchisce per una attività ma risana per una perdita.
Aderendo, peraltro, ad una impostazione retributiva, occorrerebbe rispettare l’art. 36 Cost. ed elargire al professionista quanto “effettivamente gli spetta” e, quindi, magari, somme che il soggetto debole non può sostenere: un conto è liquidare una minima indennità sul patrimonio disponibile, un contro è liquidare un compenso sull’attività svolta. In questo senso non sarebbe nemmeno possibile rigettare l’istanza ex art. 379 c.c., circostanza ricorrente e che avviene ogni qual volta il beneficiario abbia patrimoni ridotti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la risoluzione – non avente ovviamente valore normativo – va considerata come una mera opinione dell’Agenzia che, in quanto in contrasto con fonti sovraordinate, non può orientare l’attività interpretativa del giudice. Ciò vuol dire che, nel caso di specie, l’indennità è riconosciuta e liquidata con funzione e spirito di indennità. Se, tuttavia, il professionista, per sua libera interpretazione, opta per qualificare l’indennità ex art. 379 c.c. come posta retributiva, allora è nella somma stessa che deve ricercare gli accessori di legge e non in un compenso ulteriore.
P.Q.M.
Letto e applicato l’art. 379 cod. civ..
RIGETTA l’istanza
Varese, lì 20 marzo 2012
IL GIUDICE TUTELARE
DR. GIUSEPPE BUFFONE
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Quando l’amministratore di sostegno lo fa a tempo pieno di professione e a titolo gratuito e solo su indenizzo del giudice, in sostanza non può campare
quindi dove li va a prendere i soldi se non dal suo assistito in nero cioè esentasse Manica di balordi