La Corte di legittimità interviene su una questione spinosa in materia di prodigalita’: per la prima volta si afferma che si può ottenere la nomina di un ADS (amministratore di sostegno) verso un futuro beneficiario che è stato eccessivamente prodigo e generoso verso la persona affettivamente più vicina.
Sintomo del comportamento che legittima la nomina dell’ADS è il porre in essere atti patrimoniali seriali a favore del compagno di entità tale da portare in una situazione negativa la situazione patrimonaile del disponente.
Infatti, l’incapacità del beneficiario di avere la corretta percezione delle ricadute sul suo patrimonio degli atti di gestione posti in essere palesa la necessità di neutralizzare gli eventuali effetti pregiudizievoli che si sarebbero potuti determinare: detta necessità si risolve appunto con la nomina dell’amministratore di sostegno.
Per l’importanza del principio enunciato riportiamo per esteso il testo integrae di Cassazione civile , sez. I, sentenza 02.08.2012 n° 13917.
Avv. Alberto Vigani
(*) Riferimenti normativi: art. 404 c.c.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 2 luglio – 2 agosto 2012, n. 13917
(Presidente Luccioli – Relatore Piccinini)
Svolgimento del processo
Con ricorso del 27.11.2006 A.R., nipote di F.M., chiedeva che fosse aperta nei confronti di quest’ultima una procedura di amministrazione di sostegno, e ciò in quanto la zia aveva posto in essere atti di disposizione patrimoniale in favore di M.L.S., che fra l’altro era stato imputato del delitto di circonvenzione di incapace in danno della predetta F.
Con decreto dell’8.3.2007 il giudice tutelare di Torino adito disponeva quindi l’apertura della richiesta procedura ritenendo che, sulla base della perizia disposta nel corso del procedimento penale contro L.S., la F. avesse manifestato una condizione di deficienza psichica tale da indurla a porre in essere atti per sé pregiudizievoli.
Il provvedimento, reclamato dall’interessata, veniva confermato dalla Corte di Appello di Torino, che in particolare affermava la legittimità dell’avvenuta utilizzazione di prove raccolte in diverso giudizio (nella specie quello penale contro L.S.) e riteneva nel merito infondate le doglianze prospettate, essendo emersa una menomazione psichica della F., incidente sulla sua autonomia nel provvedere alla cura dei propri interessi.
Avverso la decisione F. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva con controricorso R.A.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 2.7.2012.
Motivi della decisione
Con i motivi di impugnazione F. ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 404 c.c., per il fatto che l’apertura della procedura avrebbe presupposto una impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi e tale impossibilità non sarebbe stata invece configurabile.
2) violazione dell’art. 407, comma 3, c.c. per essere la decisione basata su accertamenti peritali effettuati in sede penale (più esattamente CTU prof. Freilone).
La Corte di Appello, cui era stata sottoposta analoga censura, ne aveva ravvisato l’infondatezza sotto il profilo della utilizzabilità nel giudizio civile di prove assunte in un procedimento penale. La detta valutazione sarebbe tuttavia errata per la diversità dell’oggetto di accertamento nei due giudizi, l’uno (quello penale) consistente nella verifica circa le condizioni di circonvenibilità del soggetto passivo, l’altro (quello in esame) attinente alla possibilità di autodeterminazione del soggetto nei cui confronti è invocata la tutela;
3) vizio di motivazione del provvedimento impugnato, atteso che dall’esame peritale sarebbe emerso che la F. non presentava infermità o menomazioni fisiche o psichiche, e ciò avrebbe dovuto comportare il rigetto e non l’accoglimento del ricorso.
Le doglianze sono infondate.
Più precisamente, con il primo motivo la F. ha denunciato l’insussistenza del presupposto idoneo a legittimare la nomina dell’amministratore di sostegno.
Secondo la ricorrente, infatti, detto presupposto dovrebbe essere individuato nell’impossibilità per il destinatario del provvedimento di curare i propri interessi, impossibilità che nella specie non sarebbe configurabile, essendo viceversa ravvisabile soltanto l’eventualità che gli atti dispositivi posti in essere potessero determinare effetti pregiudizievoli per il suo patrimonio.
Il rilievo è tuttavia privo di pregio atteso che, come ha correttamente osservato la Corte di Appello, l’amministrazione di sostegno non presuppone necessariamente l’accertamento di una condizione di infermità di mente, ma contempla anche l’ipotesi che sia riscontrata una menomazione fisica o psichica della persona sottoposta ad esame, che determini, pur se in ipotesi temporaneamente o parzialmente, una incapacità nella cura dei propri interessi.
Ed è proprio questa la situazione riscontrata nel caso in esame dalla Corte di Appello, che per l’appunto ha ritenuto che la F., pur essendo “in possesso di facoltà cognitive solo lievemente compromesse” versasse in una condizione di dipendenza psicologica nei confronti di M.L.S., in cui favore si era “spogliata di tutti i suoi beni, passando da una situazione di agiatezza ad una di sostanziale povertà” (p. 14).
È dunque in relazione alla ingiustificata influenza esercitata da L.S. nei confronti della donna che la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ravvisato dapprima l’incapacità della donna di avere la corretta percezione delle ricadute sul suo patrimonio degli atti di gestione posti in essere, e quindi la necessità di neutralizzare gli eventuali effetti pregiudizievoli che si sarebbero potuti determinare, con la nomina dell’amministratore di sostegno.
Per di più non sembra inutile rilevare che il profilo relativo all’affermata dipendenza psicologica della F. nei confronti del L.S., e le conseguenze dalla stessa derivanti, non sono stati oggetto di specifica impugnazione, essendosi la ricorrente limitata a negare di essere impossibilitata a curare i propri interessi invocando, a sostegno del proprio assunto, gli accertamenti tecnici che avrebbero deposto nel senso di una contenuta compromissione delle facoltà cognitive, tali cioè da non dar luogo all’impossibilità di gestione prevista dall’art. 404 c.c.
Ad identiche conclusioni di infondatezza deve poi pervenirsi per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, incentrato sulla valorizzazione degli esiti della perizia eseguita nel giudizio penale promosso nei confronti del L.S., per circonvenzione di incapaci.
Secondo la F., infatti, la Corte avrebbe errato nel tener conto del detto accertamento, per essere diversi i parametri valutativi da adottare in sede penale e in quella civile ai fini di stabilire le capacità cognitive del soggetto meritevole di protezione.
Il giudizio, tuttavia, non può essere condiviso.
Ed invero in proposito occorre precisare che la Corte di Appello non ha acquisito acriticamente le risultanze degli accertamenti svolti nel corso del giudizio penale (relazione prof. Freilone), ma ne ha piuttosto apprezzato gli esiti alla luce delle considerazioni svolte dal consulente tecnico nominato in sede civile (dr. M.), evidenziando in particolare come le conclusioni dei due consulenti (ulteriormente confortate anche dalla relazione del consulente tecnico del P.M., Dott. G.D.L. ) fossero sostanzialmente coincidenti e come entrambi, per la parte di specifico interesse, avessero “colto nel rapporto tra la F. ed i L.S. l’aspetto più delicato della situazione psichica della periziata, poiché è in esso che per lo più la F. manifesta una caduta del livello di critica” (p. 12).
È infine inammissibile il terzo motivo di ricorso, con il quale la F. ha denunciato vizio di motivazione con riferimento all’affermata legittimità della nomina dell’amministratore di sostegno, poiché la Corte di Appello ha motivato adeguatamente in ordine all’assenza di lucidità che sarebbe riscontrabile nei comportamenti tenuti dalla ricorrente nei confronti del L.S., evidenziando in particolare i diversi atti di disposizione patrimoniale posti in essere in ristretto arco temporale, gli esiti (di sostanziale povertà) che da essi erano derivati, la totale assenza di criticità relativamente alle pregiudizievoli iniziative adottate.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
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