L’ADS ha tempestivamente proposto reclamo avverso il decreto emesso dal Giudice tutelare di questo Tribunale nel procedimento di amministrazione di sostegno con il quale le veniva liquidato, a titolo di equa indennità per l’attività gestoria svolta nel corso del anno 2018, la somma di € 600,00, senza, peraltro, motivarne le ragioni.
La reclamante ha lamentato che il Giudice tutelare non avrebbe adeguatamente considerato e valutato, nella quantificazione dell’indennità ex artt. 379 e 411 c.c., né l’entità del patrimonio della beneficiaria, né la difficoltà della sua gestione.
Invero, ha evidenziato che l’attività svolta quale amministratore di sostegno sarebbe stata particolarmente impegnativa, avendo avuto ad oggetto le operazioni, protrattesi per diverse giornate, di inventario di beni preziosi custoditi presso l’abitazione della beneficiaria e il loro conseguente trasporto presso l’istituto di credito e per la loro custodia in cassetta di sicurezza (dopo aver preventivamente ed accuratamente esaminato la convenienza del relativo contratto).
Oltre a ciò, l’ADS ha esposto di aver compiuto un importante ruolo anche sotto il profilo assistenziale e di cura della persona della beneficiaria. Ha chiesto, pertanto, in riforma dell’impugnato decreto.
Il reclamo è ritenuto parzialmente fondato.
Giova preliminarmente ricordare che anche all’amministrazione di sostegno, in ragione del richiamo di cui all’art. 411 comma 1 c.c., si applica, in quanto compatibile l’art. 379 c.c., dettato in materia di tutela, secondo il quale “L’ufficio tutelare è gratuito. Il Giudice Tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate”.
La disposizione, in considerazione del carattere pubblicistico dell’incarico, afferma la tendenziale gratuità dello stesso.
Il principio di gratuità dell’ufficio trova fondamento nel dovere sociale di protezione degli incapaci, o in più in generale dei “soggetti deboli”, di norma collegato al legame familiare o affettivo che normalmente e preferenzialmente unisce -nella solidarietà del sangue, del matrimonio o della stabile convivenza- l’incapace ed il suo tutore, curatore, amministratore.
Lo stesso art. 408 c.c. valorizza evidentemente tale legame.
Di qui la previsione, contenuta nel secondo comma dell’art. 379 c.c., che offre al Giudice tutelare gli strumenti per provvedere al delicato bilanciamento di interessi contrapposti che potrebbe porre un’applicazione eccessivamente rigida del principio di gratuità dell’incarico di amministrazione, giacché quest’ultimo se, per un verso, consente di selezionare l’“offerta” del servizio di protezione, per altro verso, rischia di limitarla troppo a scapito dell’utilità del soggetto debole, scopo primario dell’intento del Legislatore.
La disposizione, infatti, prevede la possibilità che il Giudice Tutelare, in “deroga” al regime di gratuità dell’incarico, possa riconoscere all’amministratore di sostegno un’equa indennità, tenuto conto dell’entità del patrimonio del beneficiario e delle difficoltà dell’amministrazione. Tali parametri acquistano rilevanza sia con riferimento all’an sia al quantum dell’indennità.
L’indennità può essere riconosciuta a prescindere dall’oggetto dell’incarico, sia che esso riguardi la gestione degli interessi patrimoniali, sia che esso verta sulla cura della persona e della salute, tanto più che quest’ultimo aspetto è divenuto centrale nel nuovo sistema di tutela della persona. Invero, pur non implicando la necessità di prestazioni dirette dell’amministratore in conformità a quanto previsto dall’art. 408 co. 3 c.c., la cura della persona si estrinseca in atti amministrativi e gestori potenzialmente impegnativi tanto per la rilevanza dell’incombente quanto per il tempo richiesto.
Complessa è la questione della natura dell’indennità.
Sul punto, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 1073/1988, pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 379 c.c., ha precisato che essa non ha carattere remunerativo – retributivo, ma compensativo, in quanto “serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l’ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti, i “coadiuvanti” previsti nell’ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell’articolo 1717, comma 2 c.c. bensì semplice ausiliari dell’obbligato ai sensi dell’art. 1228 c.c.”.
Successivamente, anche la Corte di Cassazione con sentenza 04/07/1991, n. 7355 ha precisato che “indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché apprezzabile e non meramente simbolico), e che inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, lasciando ampia discrezionalità”.
In altri termini, l’indennità dev’essere intesa come “rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che (in ragione dell’adempimento dell’incarico, ndr) non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi” in una logica compensatoria, e non retributiva.
Non avendo natura retributiva (ne abbiamo parlato ultimo QUI), l’indennità non potrà essere calcolata ponendo a fondamento alcuna tariffa professionale e, in ogni caso, la sua richiesta dovrà essere debitamente motivata.
Per quanto riguarda il riconoscimento e la quantificazione dell’indennità, l’art. 379 c.c. fornisce due parametri di riferimento: l’entità del patrimonio e la difficoltà dell’amministrazione. Ciò che rende la disposizione –così come il concetto, di per sé neutro, di indennità- aperta ad oscillazioni di valore, pur sempre in un’ottica esclusivamente compensatoria: la misura dell’indennità non può, quindi, non essere condizionata e limitata dal principio di gratuità dell’ufficio.
Ciò dev’essere tenuto in considerazione, soprattutto, con riferimento al ristoro dei mancati guadagni che sarebbero derivati all’amministratore se si fosse dedicato ai propri interessi anziché all’incarico a favore del beneficiario; si tratta, in effetti, di un parametro potenzialmente fuorviante, soprattutto se si tratta di compensare un professionista per i guadagni che egli avrebbe conseguito dedicandosi alla propria attività e che, evidentemente, non può portare ad un riconoscimento di un uguale guadagno derivante dall’amministrazione di sostegno a spese della persona beneficiaria.
In sintesi, l’indennità in questione condivide con la figura dell’indennizzo l’estraneità alle regole sul risarcimento del danno e, per l’effetto, la non necessaria corrispondenza, in termini monetari, con il pregiudizio che si propone di compensare; la sua concreta disciplina e misura variano inevitabilmente da fattispecie a fattispecie.
Dov’essere lasciato al richiedente, tuttavia, l’onere della prova riguardo all’entità del pregiudizio economico da compensare; presentando, ad esempio, la differenza di fatturato realizzatasi tra il prima e il dopo l’assunzione della tutela o dell’amministrazione di sostegno e spettando, poi, al Giudice di valutare se non siano altre le ragioni di tale differenza e, soprattutto, se l’attività resa giustifichi oggettivamente il ripianamento di tale differenza, avuto riguardo, comunque, all’entità del patrimonio del beneficiario, il quale non potrà subire a sua volta depauperamenti significativi a motivo della richiesta dell’indennità da parte dell’amministratore, sol perché professionista.
Si evidenzia, a questo proposito, che, ai fini della valutazione circa l’an della spettanza all’amministratore della predetta indennità, il Giudice tutelare dovrà considerare prioritariamente –quand’anche esclusivamente- il parametro relativo alla difficoltà dell’attività gestoria, per poi esaminare in un secondo –ed eventuale- momento, ma solo laddove l’attività sia stata (adeguatamente) effettuata, il parametro relativo all’entità del patrimonio, a questo punto unicamente per la determinazione del quantum della predetta indennità.
Invero, ad eccezione del caso in cui il patrimonio del beneficiario sia incapiente (poiché in tal caso nulla potrà essere liquidato all’amministratore), la verifica affidata al prudente apprezzamento del Giudice tutelare della qualità e quantità dell’attività impiegata per l’adempimento dell’incarico deve ritenersi condizione necessaria –sebbene non sempre sufficiente- dell’erogazione dell’indennità a prescindere dall’entità del patrimonio, valutabile solo per individuare la somma di denaro da compensare all’amministratore.
Pertanto, si ritiene che il patrimonio della persona beneficiaria non possa di per sé costituire, sol per il fatto di essere più o meno significativo, il principale – quand’anche unico- elemento per riconoscere l’an e il quantum (in percentuale) dell’indennità richiesta indipendentemente dall’attività concretamente svolta dall’incaricato, eventualmente relegata a mera circostanza di fatto da valorizzare ai fini di una “personalizzazione” del dato contabile in rapporto al caso di specie.
Tale soluzione, prospettata dalla stessa reclamante sulla scorta della prassi di altri Tribunali, rischia, in effetti, di generare, o comunque di alimentare, situazioni di sperequazione tra beneficiandi più o meno facoltosi in grado di riflettersi sull’“offerta” del servizio da parte, soprattutto, di professionisti esterni al nucleo familiare o al di fuori del contesto amicale di riferimento per il beneficiario; ciò che si pone in contrasto non solo con il principio di gratuità dell’istituto bensì e, soprattutto, con il fine di protezione di tutti i soggetti deboli, indipendentemente dalle condizioni di reddito o patrimonio.
Non si deve evidentemente ignorare che la gestione, anche solo occasionale, di un ingente patrimonio da parte dell’incaricato, professionista o meno che sia, determina, in capo al medesimo, un grado di responsabilità contabile più elevato rispetto alla gestione di un patrimonio di scarsa entità, pur tuttavia, questa appare una questione di mero fatto che, svincolata da una valutazione accurata sull’attività concretamente effettuata rispetto ai problemi sottesi all’amministrazione, si rivela senz’altro inidonea ad invertire per ciò solo l’applicazione dei parametri offerti dal codice per il riconoscimento e la determinazione dell’-eventuale-indennità.
Riportiamo di seguito il testo integrale del provvedimento.
per Amministratoridisostegno.com
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N. R.G. 1767/2019 V.G.
dott. Roberto Simone
dott.ssa Silvia Franzoso
dott. Carlo Azzolinisciogliendo la riserva che precede, pronuncia il seguente
– Presidente –
– Giudice –
– Giudice rel. ed est. –D E C R E TO
nel procedimento iscritto al n. R.G. 1767/2019 V.G. promosso da:
XXXXXXXX, in qualità di amministratore di sostegno della beneficiaria
XXXXXXXXX
Avente ad oggetto reclamo ex art. 739 c.p.c. avverso il decreto del Giudice tutelare emessoai sensi degli artt. 379 e 411 c.c.
** *** **
Premesso che:
L’avv. XXXXXXXXXXX, in qualità di amministratore di sostegno di Emilia Visentin giusto decreto di nomina d.d. 3.12.16, ha tempestivamente proposto reclamo avverso il decreto n. 2219/2019 d.d. 3.04.2019 emesso dal Giudice tutelare di questo Tribunale nel procedimento di amministrazione di sostegno n. 10675/2010 R.G.V.G., con il quale le veniva liquidato, a titolo di equa indennità per l’attività gestoria svolta nel corso del anno 2018, la somma di € 600,00, senza, peraltro, motivarne le ragioni.
La reclamante ha lamentato che il Giudice tutelare non avrebbe adeguatamente considerato e valutato, nella quantificazione dell’indennità ex artt. 379 e 411 c.c., né l’entità del patrimonio della beneficiaria (pari ad euro 350.000,00) né la difficoltà della sua gestione. Invero, ha evidenziato che l’attività svolta quale amministratore di sostegno sarebbe stata particolarmente impegnativa, avendo avuto ad oggetto le operazioni, protrattesi per diverse giornate, di inventario di beni preziosi custoditi presso l’abitazione della beneficiaria e il loro conseguente trasporto presso l’istituto di credito di S. Donà di Piave per la loro custodia in cassetta di sicurezza (dopo aver preventivamente ed accuratamente esaminato la convenienza del relativo contratto). Oltre a ciò, l’avv. XXXXXX ha esposto di aver compiuto un importante ruolo anche sotto il profilo assistenziale e di cura della persona della beneficiaria, visitandola e seguendo la posizione della badante.
Ha chiesto, pertanto, in riforma dell’impugnato decreto, l’assegnazione di un’equa indennità per l’attività svolta da commisurarsi secondo le tabelle di cui alla circolare del Tribunale ordinario di Roma e, dunque, nella misura di € 12.500,00 oltre accessori come per legge. In via istruttoria, qualora ritenuto necessario, ha individuato, quali persone informate sui fatti, tre testimoni.
Il Collegio osserva:
** *** **
Il reclamo è parzialmente fondato e merita di essere accolto nei termini e per le ragioni di seguito indicate.
Giova preliminarmente ricordare che anche all’amministrazione di sostegno, in ragione del richiamo di cui all’art. 411 comma 1 c.c., si applica, in quanto compatibile l’art. 379 c.c., dettato in materia di tutela, secondo il quale “L’ufficio tutelare è gratuito. Il Giudice Tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate”.La disposizione, in considerazione del carattere pubblicistico dell’incarico, afferma la tendenziale gratuità dello stesso, conformemente a quanto accade per tutti gli uffici di protezione: del tutore, perché espressamente previsto dall’art. 379 c.c. ; del protutore, in via interpretativa dello stesso art. 379 c.c. , come confermato dalla relazione del Guardasigilli, soffermatasi sul punto; del curatore, affermata in via analogica.
Il principio di gratuità dell’ufficio trova fondamento nel dovere sociale di protezione degli incapaci, o in più in generale dei “soggetti deboli”, di norma collegato al legame familiare o affettivo che normalmente e preferenzialmente unisce -nella solidarietà del sangue, del matrimonio o della stabile convivenza- l’incapace ed il suo tutore, curatore, amministratore. Lo stesso art. 408 c.c. valorizza evidentemente tale legame, laddove prevede che, in assenza di opportuna indicazione da parte del beneficiario, la scelta dell’amministratore avvenga – con esclusivo riguardo alla cura dell’interesse del beneficiato- preferibilmente a favore di un congiunto, o di un parente, secondo una gerarchia delle intensità delle relazioni familiari prestabilita (il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata), pur se non tassativa; dunque aperta, per la presenza di irrimediabili conflitti familiari o per la possibile gravosità delle attività connesse o, ancora, per le competenze richieste (e per i conseguenti profili di responsabilità) ad altre figure, ivi compresi, come nel caso di specie, professionisti esterni alla cerchia familiare o dei rapporti amicali.
Di qui la previsione, contenuta nel secondo comma dell’art. 379 c.c., che offre al Giudice tutelare gli strumenti per provvedere, in concreto, al delicato bilanciamento di interessi contrapposti che potrebbe porre un’applicazione eccessivamente rigida del principio di gratuità dell’incarico di amministrazione, giacché quest’ultimo se, per un verso, consente di selezionare l’“offerta” del servizio di protezione (scoraggiando la “professionalizzazione” della figura e conseguenti valutazioni meramente opportunistiche di arricchimento, guidate dalla fruttuosità dell’incarico rispetto alle disponibilità della persona beneficiaria), per altro verso, rischia di limitarla troppo (rendendo del tutto residuale l’interesse per l’eventuale incaricato esterno al nucleo familiare) a scapito dell’utilità del soggetto debole, scopo primario della misura di protezione introdotta dal Legislatore.
La disposizione, infatti, prevede la possibilità che il Giudice Tutelare, in “deroga” al regime di gratuità dell’incarico, possa riconoscere all’amministratore di sostegno un’equa indennità, tenuto conto dell’entità del patrimonio del beneficiario e delle difficoltà dell’amministrazione.
Tali parametri acquistano rilevanza sia con riferimento all’an sia al quantum dell’indennità.
L’indennità può essere riconosciuta a prescindere dall’oggetto dell’incarico, sia che esso riguardi la gestione degli interessi patrimoniali, sia che esso verta sulla cura della persona e della salute, tanto più che quest’ultimo aspetto è divenuto centrale nel nuovo sistema di tutela della persona. Invero, pur non implicando la necessità di prestazioni dirette dell’amministratore in conformità a quanto previsto dall’art. 408 co. 3 c.c., la cura della persona si estrinseca in atti amministrativi (l’inserimento e mantenimento in struttura di accoglienza e riabilitazione e, ove previsto, la prestazione del consenso informato rispetto alle scelte terapeutiche di volta in volta ritenute necessarie) e gestori (il collocamento della beneficiaria e/o l’assunzione di assistenti domiciliari professionali e regolazione del loro rapporto) potenzialmente impegnativi tanto per la rilevanza dell’incombente quanto per il tempo richiesto.
Complessa è la questione della natura dell’indennità.
Sul punto, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 1073/1988, pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 379 c.c., ha precisato che essa non ha carattere remunerativo – retributivo, ma compensativo, in quanto “serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l’ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti, i “coadiuvanti” previsti nell’ultima parte della norma in esame non essendo sostituti nel senso dell’articolo 1717, comma 2 c.c. bensì semplice ausiliari dell’obbligato ai sensi dell’art. 1228 c.c.”.
Successivamente, anche la Corte di Cassazione con sentenza 04/07/1991, n. 7355 ha precisato che “indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché apprezzabile e non meramente simbolico), e che inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, lasciando ampia discrezionalità”.In altri termini, l’indennità dev’essere intesa come “rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che (in ragione dell’adempimento dell’incarico, ndr) non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi” in una logica compensatoria, e non retributiva.
Non avendo natura retributiva, l’indennità non potrà essere calcolata ponendo a fondamento alcuna tariffa professionale (degli avvocati, dei dottori commercialisti, o altro) e, in ogni caso, la sua richiesta dovrà essere debitamente motivata.
Per quanto riguarda il riconoscimento e la quantificazione dell’indennità, l’art. 379 c.c. fornisce due parametri di riferimento: l’entità del patrimonio e la difficoltà dell’amministrazione. Ciò che rende la disposizione –così come il concetto, di per sé neutro, di indennità- aperta ad oscillazioni di valore, pur sempre in un’ottica esclusivamente compensatoria: la misura dell’indennità non può, quindi, non essere condizionata e limitata dal principio di gratuità dell’ufficio.
Ciò dev’essere tenuto in considerazione, soprattutto, con riferimento al ristoro dei mancati guadagni che sarebbero derivati all’amministratore se si fosse dedicato ai propri interessi anziché all’incarico a favore del beneficiario; si tratta, in effetti, di un parametro potenzialmente fuorviante, soprattutto se si tratta di compensare un professionista per i guadagni che egli avrebbe conseguito dedicandosi alla propria attività e che, evidentemente, non può portare ad un riconoscimento di un uguale guadagno derivante dall’amministrazione di sostegno a spese della persona beneficiaria.
In sintesi, l’indennità in questione condivide con la figura dell’indennizzo l’estraneità alle regole sul risarcimento del danno e, per l’effetto, la non necessaria corrispondenza, in termini monetari, con il pregiudizio che si propone di compensare; la sua concreta disciplina e misura variano inevitabilmente da fattispecie a fattispecie.
Dov’essere lasciato al richiedente, tuttavia, l’onere della prova riguardo all’entità del pregiudizio economico da compensare; presentando, ad esempio, la differenza di fatturato realizzatasi tra il prima e il dopo l’assunzione della tutela o dell’amministrazione di sostegno e spettando, poi, al Giudice di valutare se non siano altre le ragioni di tale differenza e, soprattutto, se l’attività resa giustifichi oggettivamente il ripianamento di tale differenza, avuto riguardo, comunque, all’entità del patrimonio del beneficiario, il quale non potrà subire a sua volta depauperamenti significativi a motivo della richiesta dell’indennità da parte dell’amministratore, sol perché professionista.
Il Tribunale ritiene di evidenziare, a questo proposito, che, ai fini della valutazione circa l’an della spettanza all’amministratore della predetta indennità, il Giudice tutelare dovrà considerare prioritariamente –quand’anche esclusivamente- il parametro relativo alla difficoltà dell’attività gestoria, per poi esaminare in un secondo –ed eventuale- momento, ma solo laddove l’attività sia stata (adeguatamente) effettuata, il parametro relativo all’entità del patrimonio, a questo punto unicamente per la determinazione del quantum della predetta indennità.
Invero, ad eccezione del caso in cui il patrimonio del beneficiario sia incapiente (poiché in tal caso nulla potrà essere liquidato all’amministratore), la verifica affidata al prudente apprezzamento del Giudice tutelare della qualità e quantità dell’attività impiegata per l’adempimento dell’incarico deve ritenersi condizione necessaria –sebbene non sempre sufficiente- dell’erogazione dell’indennità a prescindere dall’entità del patrimonio, valutabile solo per individuare la somma di denaro da compensare all’amministratore.
Il Collegio ritiene, in altri termini, che il valore del patrimonio della persona beneficiaria non possa di per sé costituire, sol per il fatto di essere più o meno significativo, il principale – quand’anche unico- elemento per riconoscere l’an e il quantum (in percentuale) dell’indennità richiesta indipendentemente dall’attività concretamente svolta dall’incaricato, eventualmente relegata a mera circostanza di fatto da valorizzare ai fini di una “personalizzazione” del dato contabile in rapporto al caso di specie.
Tale soluzione, prospettata dalla stessa reclamante sulla scorta della prassi di altri Tribunali, rischia, in effetti, di generare, o comunque di alimentare, situazioni di sperequazione tra beneficiandi più o meno facoltosi in grado di riflettersi sull’“offerta” del servizio da parte, soprattutto, di professionisti esterni al nucleo familiare o al di fuori del contesto amicale di riferimento per il beneficiario; ciò che si pone in contrasto non solo con il principio di gratuità dell’istituto bensì e, soprattutto, con il fine di protezione di tutti i soggetti deboli, indipendentemente dalle condizioni di reddito o patrimonio.
Il Collegio evidentemente non ignora che la gestione, anche solo occasionale, di un ingente patrimonio da parte dell’incaricato, professionista o meno che sia, determina, in capo al medesimo, un grado di responsabilità contabile più elevato rispetto alla gestione di un patrimonio di scarsa entità, pur tuttavia, questa appare una questione di mero fatto che, svincolata da una valutazione accurata sull’attività concretamente effettuata rispetto ai problemi sottesi all’amministrazione, si rivela senz’altro inidonea ad invertire per ciò solo
l’applicazione dei parametri offerti dal codice per il riconoscimento e la determinazione dell’-eventuale-indennità.
Facendo governo di questi principi al caso di specie, si deve concludere nel senso dell’inadeguatezza dell’equa indennità riconosciuta all’odierna reclamante da parte del Giudice tutelare. Essa va pertanto rideterminata in aumento.Dal rendiconto relativo all’annualità 2018 puntualmente depositato dall’amministratore di sostegno, professionista avvocato, emerge che la stessa ha compiuto le seguenti attività: gestione del rapporto di lavoro con le badanti che si sono avvicendate nella cura della beneficiaria (mediante rinnovo contrattuale); presentazione della dichiarazione dei redditi; ricognizione, mediante inventario, dei beni preziosi della beneficiaria e loro trasporto e collocazione presso la cassetta di sicurezza presso un istituto di credito, previa valutazione della convenienza del relativo contratto. La documentazione allegata consente l’apprezzamento positivo di tali attività.
Considerato che, alla luce della quantità del materiale inventariato, appare verosimile un impegno dell’avv. XXXXXXXXX di diverse ore per l’attività di inventario e di trasporto dei mezzi; ore, sottratte, dunque, all’impegno professionale in questione.
Valutate quindi complessivamente le difficoltà connesse alla gestione dell’incarico, sia in termini di complessità (valutazione della convenienza e stipula del contratto di apertura di cassette di sicurezza), sia in termini di tempo impiegato per l’espletamento dell’incarico e quindi sottratto agli altri adempimenti professionali (rispetto alla cui reddittività, tuttavia, la reclamante non ha offerto alcun elemento) sia in termini di competenze richieste per il loro corretto adempimento, considerata l’utilità della beneficiaria, e tenuto conto che al momento dell’istanza il saldo a favore della beneficiaria era pari ad € 348.366,69, appare congruo al Tribunale riconoscere a titolo di equa indennità all’avv. XXXXXXXX l’importo complessivo di € 950,00, contestualmente autorizzandola al prelievo del detto importo dal conto dell’amministrata.P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando,
Visti gli artt. 739 c.p.c. e 411 e 379 c.c., così provvede:
-Accoglie il reclamo, e, per l’effetto, in riforma del decreto del Giudice tutelare del Tribunale di Venezia n. 2219/2019 d.d. 3.04.2019 emesso dal Giudice Tutelare di questo Tribunale nel procedimento di amministrazione di sostegno n. 10675/2010 R.G.V.G., liquida in favore dell’amministratore di sostegno avv. XXXXXXXXX l’importo di € 950,00 autorizzandola al prelievo del detto importo dal conto della persona beneficiaria della amministrazione di sostegno;
-Nulla dispone in punto spese.
Efficacia immediata ex art. 741 c.p.c.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio dell’11.09.2019.
Il giudice relatore dott. Carlo Azzolini
Il Presidente
Provvedimento liquidazione indennità ADS
dott. Roberto Simone
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