Il ricorso è ammissibile, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. Il provvedimento impugnato, ancorché reso con la forma del decreto in esito a procedimento in camera di consiglio, ha natura decisoria, perché riguarda diritti soggettivi, quali sono da qualificare i crediti discendenti dalla funzione tutelare, e statuisce su di essi, con attitudine ad acquistare autorità di giudicato, nel rapporto con il debitore, cioé l’interdetto, rappresentato dal nuovo tutore; il provvedimento medesimo, inoltre, non è altrimenti denunci abile, e, quindi, rientra nella previsione del secondo comma della citata norma della Costituzione (cfr. Cass. n. 4755 del 13 luglio 1983).
Con il primo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, il ricorrente deduce difetto di motivazione circa il mancato riconoscimento delle spese per vitto, mezzi di locomozione, comunicazioni postali e telefoniche.
Premettendo la propria qualità di avvocato esercente in una città (Trapani) diversa da quella, della tutela (Palermo), nonché allegando la partizione del patrimonio e degli interessi dell’interdetto (titolare di un’impresa, socio di una società commerciale, coinvolto in un elevatissimo numero di contese civili e penali), il Randazzo si duole che il Tribunale abbia del tutto trascurato le risultanze del fascicolo tutelare; queste, valutate in correlazione dei suddetti elementi, avrebbero evidenziato come indispensabili frequenti viaggi, lunghi soggiorni “fuori sede”, ripetute utilizzazioni del telefono e del servizio postale, e, pertanto, avrebbero imposto il pieno recupero dei relativi oneri (liquidabili in via forfettaria, per le voci non suscettibili di analitica dimostrazione).
Le riportate censure sono fondate, nei limiti delle seguenti considerazioni.
Il Tribunale di Palermo, nel l’argomentare il diniego del rimborso delle spese in questione, si limita ad affermare, come sopra ricordato, che le une non erano necessarie e che le altre non erano giustificate o comunque provate.
Tali enunciati non integrano ottemperanza all’obbligo della motivazione; obbligo cui non si sottrae il provvedimento camerale, nella parte in cui assuma la rilevata consistenza di decisione su posizioni di diritto soggettivo in conflitto.
In via generale va osservato che il tutore dell’incapace non opera quale mandatario e rappresentante in base a titolo negoziale, ma, in forza di nomina giudiziale, svolge una funzione con connotazioni anche pubblicistiche, e, in questa veste, è tenuto alla presentazione di rendiconto. Ne deriva che la decurtazione della “nota – spese” presentata dal tutore, con riferimento a voci potenzialmente riconducibili nell’ambito degli oneri inerenti all’espletamento dell’incarico (come appunto quelli in esame, trattandosi di legale esercente altrove la sua attività professionale),si traduce sostanzialmente in una contestazione della regolarità dell’operato del tutore medesimo, e, pertanto, non può prescindere da valutazioni circa la natura e portata dell’ufficio affidato e degli atti da esso richiesti.
Alla luce di detti rilievi si deve ritenere che il Tribunale, nel definire le questioni insorte sulla ripetibilità di esborsi per viaggi, soggiorni, telefonate e spedizioni postali, non poteva limitarsi alle indicate enunciazioni (come se si vertesse in tema di pretesa creditoria avanzata in sede ordinaria, per il cui rigetto è sufficiente riscontrare la mancata deduzione e dimostrazione dei suoi elementi costitutivi),ma era tenuto a vagliare gli atti della procedura tutelare, alla quale si correlava il rendiconto, per poi spiegare le ragioni dell’affermata esorbitanza o comunque eccedenza degli esborsi stessi rispetto ai compiti concreti del tutore ed agli atti da lui effettivamente posti in essere.
L’indicato errore di impostazione e le carenze d’indagine ad esso conseguenti sono da ravvisarsi anche con riguardo al mancato rimborso dei pasti consumati dal Randazzo presso ristoranti, in Palermo, che il Tribunale ha argomentato con l’affermazione di non occorrenza di tali pasti all’adempimento dei compiti tutori. Questa affermazione, invero, sarebbe giustificata solo in esito all’accertamento della possibilità del tutore di ottemperare ai suoi obblighi con brevi soggiorni fuori sede, facendo ritorno alla propria residenza od ufficio prima del tempo normalmente destinato a soddisfare i bisogni alimentari. In caso contrario, il rimborso in esame deve essere accordato, non potendo ovviamente farsi carico al tutore di affrontare digiuni od altri disagi, salva restando poi la diversa questione, logicamente successiva al riscontro del collegamento causale fra spesa ed incarico, della congruità del “quantum”(questione da definirsi alla stregua delle circostanze del caso concreto, le quali, si ribadisce, sono state obliterate dal provvedimento impugnato).
Con il secondo motivo, il Randazzo, assumendo che l’art. 379 cod.civ. richiede l’autorizzazione per l’assunzione di impiegati, non anche quindi per il conferimento a terzi di incarichi di prestazione, d’opera (professionale o meno), sostiene che il Tribunale non poteva negargli il ristoro di quanto pagato, per attività occorrenti alla gestione degli interessi dell’interdetto, a due saltuari collaboratori (una praticante procuratrice legale, cui era stata affidata una dettagliata relazione sulle pendenze giudiziali del Di Martino, ed un “uomo di fiducia”, con mansioni di domiciliatario, commesso e fattorino).
Il motivo è fondato, sotto il profilo del mancato accertamento, da parte del Tribunale, dei presupposti per l’applicazione dell’art. 379 secondo comma cod.civ..
Detta disposizione richiede l’autorizzazione del giudice tutelare affinché il tutore possa “farsi coadiuvare nell’amministrazione da una o più persone stipendiate”.
L’espressione “persone stipendiate”, vale a dire stabilmente retribuite per la loro opera, l’inequivoco riferimento della norma alle attività inerenti alla cura del patrimonio dell’interdetto, ed altresì la sua “ratio” (la tutela è un incarico strettamente fiduciario, e, quindi, per la delega dei relativi compiti, si esige un preventivo controllo sulla scelta del delegato) portano ad affermare che la norma medesima, ancorché non consenta distinzioni fra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, riguarda esclusivamente il caso in cui gli uni o gli altri vengano affiancati al tutore, in via continuativa, nella cura degli interessi del rappresentato, non il caso in cui si occupino saltuariamente di incombenze esecutive e comunque accessorie rispetto all’attività tutoria.
Il Tribunale, pertanto, avrebbe potuto negare la ricuperabilità delle spese per compensi a terzi, in difetto di autorizzazione, solo previo accertamento della ricorrenza della prima delle delineate ipotesi.
Con il quarto motivo, si critica la determinazione del “quantum” del compenso, deducendosi che il Tribunale ha errato nel fissare in soli due mesi la durata della tutela, per poi liquidare una semplice “mancia”, del tutto inadeguata alla pesantezza dell’incarico ed al suo espletamento da parte di un professionista.
Il motivo è infondato.
In deroga alla regola della gratuità dell’ufficio tutelare, posta dall’art. 379 cod.civ. con il primo comma, la norma stessa, con il secondo comma, attribuisce al giudice, in correlazione del patrimonio e delle difficoltà dell’amministrazione, il potere di accordare un’indennità.
Considerando che indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché; apprezzabile e non meramente simbolico), e che, inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, così lasciando ampia discrezionalità, si deve rilevare l’inconsistenza delle censure del Randazzo, nella parte in cui fanno leva sull’inidoneità retributiva della somma in concreto attribuitagli dal Tribunale, nonché la loro inammissibilità, nella parte in cui tendono a rinnovare in questa sede l’apprezzamento, squisitamente di merito, circa la rispondenza ad equità di tale somma (peraltro con deduzioni generiche, non indicandosi quale maggiore durata avrebbe avuto l’incarico tutorio, rispetto ai due mesi riscontrati dal Tribunale, e quali elementi dovrebbero evidenziarla).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente ai primi tre motivi, per carenza di indagine e motivazione in punto di disconoscimento delle spese per viaggi, vitto, comunicazioni postali e telefoniche, nonché in punto di diniego del recupero delle spese per l’utilizzazione dell’opera di terzi.
Il provvedimento impugnato deve essere cassato, per un riesame del reclamo del Randazzo,che colmi le lacune e tenga conto dei rilievi sopra effettuati.
Al giudice di rinvio, che si designa in altra Sezione del Tribunale di Palermo, si affida la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.