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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – rel. Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20600/2016 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCIONE n. 71, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GARUTTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TITO BORTOLATO;
– ricorrente –
contro
N.I., N.F., N.L., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato SILVIA STIVALI, rappresentate e difese dall’avvocato CRISTINA NAPOLEONI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1292/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2021 dal Presidente SERGIO GORJAN;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
P.M. ebbe a chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo per la somma di Euro 38.562,90 a carico di C.M. a titolo di pagamento di competenze professionali per la difesa in giudizio in vari contenziosi civili.
La C. propose opposizione al provvedimento monitorio a ministero del suo nuovo amministratore di sostegno ed il Tribunale di Venezia revocò il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. Perissinotti poichè nulla era dovuto.
La P. interpose gravame avanti la Corte d’Appello di Venezia che, resistendo N.L., F. ed I. – figlie ed eredi della C. -, rigettò l’impugnazione.
Osservava la Corte lagunare come l’opposizione era da ritenersi tempestiva poichè il termine ex art. 641 c.p.c., poteva scorrere solo dalla data di nomina del nuovo amministratore di sostegno della C. e, non già, dalla notifica del decreto ingiuntivo effettuata all’incapace quando priva di assistenza. Quanto al merito della questione, il Collegio marciano rilevava come non concorreva ultra petizione avendo il Tribunale applicato la norma ex art. 1395 c.c., mentre l’opponente aveva invocato la norma ex art. 412 c.c., posto che trattavasi di mera qualificazione giuridica della domanda, poichè i fatti costitutivi ed il preteso erano rimasti inalterati.
Infine i Giudici serenissimi osservavano come l’avv. P. aveva agito quale difensore in giudizio della C., la quale però era anche sua assistita quale amministratore di sostegno, sicchè si profilava un conflitto d’interessi – il munus pubblico era gratuito, mentre il mandato professionale oneroso – che rendeva nullo il mandato professionale e quindi inesistente la pretesa di pagamento del compenso.
Avverso detta sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Le consorti N. hanno resistito con controricorso, illustrato con nota difensiva.
E’ intervenuto il P.G. nella persona del Dott. Carmelo Sgroi che, con nota scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorso proposto da P.M. s’appalesa privo di fondamento.
Con il primo mezzo d’impugnazione parte ricorrente deduce malgoverno dell’art. 409 c.c., in quanto la Corte lagunare ha ritenuto che anche la mera ricezione della notifica del decreto ingiuntivo sia atto che l’amministrato non poteva validamente compiere e ciò in contrasto con il dettato dell’art. 409 c.c., che pone in evidenza come l’amministrato ha propria capacità d’agire, salvo il limite segnato dagli atti che richiedono la rappresentanza dell’amministratore.
La censura è priva di fondamento posto che è dato pacifico che la C., quando venne attinta dalla notificazione del decreto ingiuntivo, era incapace posto che l’avv. P., già nominata sua amministratore di sostegno era cessata dall’incarico ed era in corso la procedura di sua sostituzione.
Dunque è dato certo che la C. era – al momento dell’avvio della lite con la notifica del decreto ingiuntivo – incapace ed abbisognevole di assistenza per agire in giudizio poichè già sottoposta ad amministrazione di sostegno.
A ciò consegue che risulta indifferente il dato materiale della consegna dell’atto notificato ed assume rilievo il rispetto del termine per l’opposizione ossia l’effetto giuridico conseguente a detto atto materiale, che tuttavia richiede per l’incapace l’assistenza dell’amministratore ex art. 75 c.p.c., comma 2.
Di conseguenza la notificazione di decreto ingiuntivo si configura siccome procedimento che necessariamente impone che sia raggiunto il rappresentante legale dell’incapace – Cass. sez. 1 n 701/80 – affinchè sia completo e quindi comincino a scorrere i termini per l’opposizione.
Nella specie è la stessa ricorrente a rimarcare come l’atto fu dapprima notificato personalmente all’incapace e solo successivamente al suo nuovo amministratore di sostegno, sicchè il procedimento notificatorio comunque s’è concluso con la ricezione dell’atto da parte del soggetto che, ex art. 75 c.p.c., poteva rappresentare la C. in giudizio.
Con la seconda ragione di doglianza la P. deduce malgoverno dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza poichè la Corte marciana non ha rilevato che l’opposizione, svolta dalla parte, era fondata sul richiamo all’art. 412 c.c., mentre il Tribunale ha ravvisato l’applicabilità dell’art. 1395 c.c.; sicchè ad un rapporto di rappresentanza conseguente a norma di legge è stato – inammissibilmente – sostituito un rapporto pattizio quale fonte della rappresentanza, situazione fondata su fatto della vita diverso. La censura appare intrinsecamente inammissibile posto che in effetti non propone confronto con la motivazione sul punto esposta dalla Corte serenissima, la quale ha affrontato il motivo di gravame partitamente.
La ricorrente si limita a contestare, in modo generico senza puntuale riferimento ai passi degli scritti difensivi delle parti – ai fini dell’autosufficienza del motivo di contestazione – dai quali desume l’immutazione della domanda, la ricostruzione della domanda siccome operata dal Giudice del gravame nell’esercizio della sua facoltà di qualificazione della stessa.
Con il terzo mezzo d’impugnazione la P. lamenta omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Collegio marciano non ha affrontato il tema critico, fondato sul disposto ex art. 86 c.p.c., da lei proposto, che l’investiva ex lege della facoltà di difesa personale in giudizio senza la necessità di un mandato da parte del soggetto rappresentato.
Con la quarta ragione di doglianza la ricorrente lamenta violazione dell’art. 86 c.p.c., poichè la Corte lagunare ha ritenuto concorrente un conflitto d’interessi laddove questo non poteva sussistere in radice, in quanto l’art. 86 c.p.c. abilitava l’amministratore di sostegno, anche avvocato, a difendere la parte in giudizio senza il bisogno di un mandato dell’amministrata, sicchè non è venuto in essere alcun rapporto contrattuale tra lei e la C. per le liti regolarmente autorizzate dal Giudice tutelare.
Le due censure attingendo da profili diversi la medesima questione possono essere trattate unitariamente e sono prive di pregio giuridico, anche se questa Suprema Corte deve, ex art. 384 c.p.c., u.c., correggere la motivazione al riguardo esposta dalla Corte marciana.
Difatti il Collegio serenissimo ha comunque fondato la non debenza del compenso professionale sull’invalidità del mandato professionale poichè autoconferito dall’avv. P., quale amministratore di sostegno, pur versando in situazione di conflitto d’interessi.
Tuttavia è opinione di questo Collegio che nella fattispecie non si possa configurare un conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentata in forza delle stesse argomentazioni esposte dalla ricorrente, ossia che non venne conferito alcun mandato professionale dalla rappresentata e, quindi, non venne in essere alcun contratto tra le parti, bensì l’avv. P. agì quale amministratore di sostegno, che difendeva se stessa ex art. 86 c.p.c..
Detta norma – Cass. sez. 1 n. 6618/19 – consente al rappresentante legale, quando anche in possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività forense – come nella specie pacifico -, di difendersi in giudizio personalmente, sicchè nella specie alcun rapporto contrattuale professionale venne ad instaurarsi tra la C. – rappresentata – e l’avv. P. – suo difensore e legale rappresentante -.
A ciò consegue necessariamente che la ricorrente non poteva agire in giudizio chiedendo il pagamento del compenso professionale in assenza – come dalla stessa sottolineato – di un rapporto pattizio, poichè non venne stipulato alcun contratto d’opera intellettuale tra rappresentata e rappresentante, bensì il rappresentante ritenne d’avvalersi della facoltà di difendere se stesso da solo, ex art. 86 c.p.c., ossia esercitò le funzioni di amministratore di sostegno e, non già, di patrono del cliente.
Il compenso per l’opera in questione dunque non può trovar soddisfazione nell’ambito del rapporto contrattuale avvocato – cliente regolato dalle tariffe professionali, bensì nell’ambito dell’equa indennità ex art. 379 c.c., in quanto richiamato ex art. 411 c.c., che deve esser richiesta al Giudice tutelare a compenso dell’opera prestata quale amministratore di sostegno.
Di conseguenza, comunque, corretta appare la statuizione di rigetto della pretesa portata sul decreto ingiuntivo revocato – statuizione confermata dalla Corte marciana – poichè fondata su titolo – rapporto di contratto d’opera – non esistente.
Atteso il rigetto dell’impugnazione, la P. va condannata a rifondere alle consorti N., in solido fra loro, le spese di lite per questo giudizio di legittimità, tassate in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense.
Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni processuali per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.
Rigetta il ricorso e condanna la P. a rifondere le spese di questo giudizio di legittimità in favore solidale delle consorti N., che tassa in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021
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